Ambrogio Antonio Alciati
(Vercelli, 1878 – Milano, 1929)
Autoritratto
olio su tavoletta, firmata e datata
1915
63,5 x 48 cm
Antonio Ambrogio Alciati nacque a Vercelli in condizioni economiche disagiate e fu costretto al lavoro di decoratore sin da giovane. Studiò all’Istituto di Belle Arti cittadino con Carlo Costa e dal 1897 all’Accademia di Brera, grazie a una borsa di studio. Rimase a Milano, incoraggiato dal maestro Cesare Tallone, a cui seguì nella cattedra di Brera, che gli procurò le prime commissioni e lo mise in contatto con la famiglia Chiattone per cui lavorò in una ditta di arti grafiche come illustratore. Esordì con Ritratto della madre alla Permanente del 1905 e da allora partecipò assiduamente alle esposizioni milanesi. Si distinse alle Biennali di Brera, partecipò a tutte le esposizioni della Permanente e, dal 1907, alle Biennali di Venezia. Alla solida base accademica, Alciati seppe coniugare in forma autonoma gli stimoli raccolti da artisti internazionali come Andres Zorn, Philip Làszlò, John Singer Sargent e Paul Albert Besnard.
Si espresse prevalentemente come pittore di figura e ritrattista, scegliendo, negli anni fino al 1910, soggetti veristico-sentimentali, talvolta simbolisti, immergendo le figure in atmosfere fumose, evanescenti, che si innestano sul linguaggio scapigliato di Tranquillo Cremona, sul decadentismo di Giuseppe Mentessi, e sulla pittura crepuscolare di Eugène Carrière.
La femminilità emerge come protagonista nelle sue opere dal secondo decennio del Novecento. Nei ritratti di donne dell’alta borghesia la tavolozza appare schiarita; emergono i graduati contrasti di luce e i delicati accordi tonali con una pennellata veloce, vibrante e vaporosa che richiama la pittura di Giovanni Boldini. I ritratti Dama in nero (1917) e Dama in rosa (1921) evidenziano l’abilità del pittore nella resa dell’effetto delle preziose stoffe, nelle trasparenze e nelle cangianze dei rasi con cui vestiva le sue modelle, in pose di controllata ma espressiva gestualità. Fu però anche attento all’indagine psicologica che va oltre il tradizionale ritratto di rappresentanza.
Nel 2021 grazie alla donazione di Giulio D’Astore, marito di Amelia Alciati (Milano 1925-Roma 2018), figlia del pittore, la collezione di opere di Alciati al Museo si è arricchita di sette opere: Ritratto della moglie Raffaella di Malta (che affianca il suo Autoritratto), Modella con mantello, La “Spagnola”, Studio per il ritratto di Adriana Polti Miani, Maternità, Amelia e la mamma con la tazzina e I Profughi.
L’Autoritratto fu donato dall’artista all’Ospizio dei poveri in cui fu educato in occasione di un banco di beneficenza. Vinto da un allievo, nel 1916 venne acquistato dal Museo Borgogna per 70 lire. Si tratta di uno dei numerosi autoritratti dell’artista che si raffigura a mezzo busto mentre volge lo sguardo allo spettatore su di un fondo indefinito, reso con rapide pennellate, in cui si intravede una tela. La fisionomia dell’artista non si discosta dalla descrizione che ne fece Giorgio Nicodemi nella sua monografia del 1945: “Il volto era tondo e un poco lo allungava un piccolo pizzo al mento. Gli occhi illuminavano le fattezze fini e gravi”.
Sono noti diversi autoritratti, tra questi uno datato 1920 è conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze, un altro, datato al 1916, è stato donato dalla figlia del pittore Amelia Alciati al Liceo Artistico di Vercelli in occasione dell’intitolazione dell’istituto al padre nel 2005.