BERNARDINO LANINO (attr.)
(Vercelli (?) ante 1514– Vercelli ante 1583)
Angelo che suona l’arpa
Angelo che suona la viola da gamba
Tempera a monocromo su tavola
inv. 1906, V, 346; V 347
34,5 x 23 cm (ciascuna)
Le due piccole tavole vennero acquistate da Antonio Borgogna all’asta del Marchese Mercurino Arborio di Gattinara a Milano nel 1899 per 800 Lire con l’attribuzione a Gaudenzio Ferrari. All’asta, dove comparvero importanti opere della scuola pittorica vercellese e dove Borgogna si assicurò anche un altro monocromo di Gaudenzio (Salita al Calvario), le due tavole figuravano insieme ad un’altra coppia di angeli musici con identica attribuzione, raffiguranti Angelo seduto che suona il flauto e Angelo seduto che suona il triangolo. Queste ultime, comparse alla vendita E. Schweitzer di Berlino nel 1918 e passate recentemente in collezione privata, potevano costituire con le tavolette del Borgogna un’unica predella smembrata, come già ipotizzato in sede di asta. La paternità gaudenziana è stata accolta dalla Halsey (1904) e ribadita dalla Brizio (1926, 1942), da Viale (1934, 1969) che le datava intorno al 1530, e da Grassi (1941). Il primo a muovere dubbi sull’attribuzione dei due dipinti a Gaudenzio è stato Rosci (1960). Winternitz (1967) confrontandoli con la coppia di angeli musici della Pinacoteca di Varallo, escluse radicalmente di ricondurli al pittore valsesiano, sia per l’inferiorità della qualità pittorica sia per l’inadeguatezza della resa degli strumenti musicali nelle tavolette vercellesi, essendo riconosciuta la fama di Gaudenzio come organologo. Le tavolette vennero in seguito inserite coerentemente nel corpus delle opere di Bernardino Lanino, allievo di Gaudenzio (Quazza 1986). II quella sede venne proposta una datazione entro il settimo decennio del Cinquecento, in un momento vicino alle grandi pale di Lanino quali il Polittico di Campiglia Cervo, quello di Valduggia (1564), la Madonna della Grazia in San Paolo a Vercelli (1554-1568) e la tavola in san Lorenzo a Lessona (1571). Le due tavolette, che si rifanno alla tradizione già gaudenziana delle predelle a monocromo, riflettono, nelle fisionomie paffute e intenerite e nella resa filettata delle lumeggiature, lo stile della tarda maturità di Lanino. La stesura dei due monocromi del Borgogna, che sembra tradurre in pittura il tratteggio dell’ideazione grafica, rimane un po’ rigida nonostante il tentativo di movimentare le figure attraverso il gioco dei chiaroscuri.
Bibl: C. Lacchia, schede VIII.17-VIII.18, in Il Cinquecento lombardo da Leonardo a Caravaggio, catalogo della mostra a cura di F. Caroli, Milano, Palazzo Reale, 4 ottobre 2000- 25 febbraio 2001, Milano 2000, pp. 426-427.