ERCOLE VILLA (Milano 1827-Vercelli 1909)
Due bozzetti per il monumento funebre di Giovanni Antonio Malinverni e di sua moglie Maurina Cotti Caccia
1875
terracotta
donati nel 2014 da Piera Malinverni e Lodovico Szegoe, inv. 2014, Do, 2-3
46 ca., 26 x 15/21 cm
La coppia di terrecotte, straordinariamente conservate dagli eredi, rappresentano due studi dello scultore Ercole Villa per la realizzazione del monumento funebre che la vedova Maurina Cotti Caccia (1804-1883) commissionò in memoria del marito Giovanni Malinverni (5/12/1803-4/1/1875), deceduto all’età di 71 anni.
La tomba, amorevolmente curata dalla famiglia, si trova ancora integra al Cimitero di Biliemme a Vercelli e venne acquistata da Giovanni Malinverni il 28 aprile 1837 (rogito notaio Roberto Beglia) con il pagamento al Comune di Vercelli di 300 lire.
Giovanni Rosso (1979, p. 25 n. 9) ricordava come un capolavoro del Villa questa tomba “di taglio e ispirazione romantica” in cui l’artista traduce in plastica un “sogno”.
In una calibrata sintesi tra il dato naturalistico e l’afflato spirituale, assistiamo infatti all’incontro immaginario tra i due sposi in una scena estremamente articolata nel movimento, nell’ambientazione naturale e nelle espressioni dei protagonisti. L’idea di sospensione e di leggerezza del defunto è giocata sulla rappresentazione del corpo etereo rivestito di un panno svolazzante che, come risorto, appare in sogno alla moglie. Verso di lei avanza aprendo le braccia. Una soluzione che è già modellata nelle terrecotte dove anche lo sperone roccioso è funzionale allo scopo. La figura della vedova, altrettanto panneggiata e velata, incede con addolcita devozione, sottolineata dall’incontro degli sguardi. Le due terrecotte differiscono tra loro per la soluzione tra la posa aperta e ancora distante tra i due corpi e quella di un contatto reale tra i due coniugi con una torsione opposta del corpo sospeso di lui. La corporatura longilinea di Giovanni viene ricordata anche nelle Memorie di Camillo Leone (p. 194): “era un individuo secco secco, lungo lungo, che pareva una canna da zucchero vestita di panni, con una fisionomia seria seria, come quella di Caronte. Mi ricordo che già fin d’allora lo chiamavano: il Gattone e, per conseguenza, la madre del mio amico era chiamata: la Gattona, oppure la poetessa, perché faceva ben sovente delle poesie”. E’ infatti dettata dalla moglie Maurina, che morì otto anni dopo di lui, a 79 anni e che si dilettava di lettere e di scienze, l’amorevole dedica che è scolpita sulla lapide rocciosa alla base del gruppo: “A / GIOVANNI MALINVERNI /POSTUMO DI GIOVANNI FIGLIO DI ANTONIO/ NATO IL V DICEMBRE MDCCCIII/ MORTO IL IV GENNAIO MDCCCLXXV/ CARO GIOVANNI D’OGNI EGREGIA DOTE/D’OGNI ESIMIA VIRTU’ FORNITO/ IMMENSAMENTE MERITASTI/ E POCO HAI GODUTO IN QUESTA VITA/ TI APPAGANO ORA LE INEFFABILI GIOIE DEL CIELO/ OVE POSSA RAGGIUNGERTI LA DESOLATA TUA VEDOVA/ MAURINA COTTI CACCIA/ CHE TI ERGE QUESTO MONUMENTO/MDCCCLXXV”. Essa dichiara il legame profondo tra i due coniugi che ebbero anche la sventura di piangere, nella stessa tomba, la morte di ben cinque figli. La famiglia possiede anche i due busti in marmo che Ercole Villa realizzò per i committenti (1875 e 1876) e che ritraggono i due coniugi con vivezza di particolari realistici sia nelle caratteristiche somatiche che nell’abbigliamento, con l’esibizione compiaciuta di trine, gioielli e ornamenti per lei e l’espressione impettita in giacca, panciotto e farfalla di lui. Villa, formatosi a Brera con Benedetto Cacciatori, e noto docente all’Istituto di Belle Arti di Vercelli, fu ritrattista richiestissimo dalla borghesia cittadina e autore di diversi monumenti in città, tra cui quello a Vittorio Emanuele II in piazza Pajetta, la statua di Camillo Cavour nell’omonima piazza e quella del monaco Giovanni Gersen in Duomo.