Dai voce alla cultura e Dai voce alla cultura 2.0.
Questi i nomi dei due progetti di Servizio Civile per i quali siamo state selezionate fra maggio e settembre in cordata con gli altri musei cittadini (Museo Leone, MAC, Museo del Tesoro del Duomo) e le biblioteche di Vercelli e di Santhià.
Siamo entrambe storiche dell’arte da poco laureate e siamo rimaste fin da subito affascinate dalle possibilità del Servizio Civile (approfondisci qui) di dedicare un anno del nostro tempo al Museo Borgogna e alle sue numerose attività culturali. Ci è sembrata un’ottima occasione per imparare a conoscere più direttamente il mondo dell’arte, quello stesso che speriamo diventerà, in futuro, il fulcro del nostro lavoro.
I nostri progetti
Dare voce alla cultura, sensibilizzare i cittadini, coinvolgerli e favorire la riscoperta della cultura locale, della quale il patrimonio storico-artistico è parte integrante, saranno i nostri obiettivi. Vogliamo contribuire alla formazione di una comunità sempre più attenta e consapevole, specialmente di quella fascia di pubblico giovane che sarà compito nostro, come Volontarie del Servizio Civile, portare al museo. Dovremo escogitare nuovi sistemi e nuove vie di comunicazione per renderli più partecipi e fieri delle collezioni artistiche della loro città. Questi gli obiettivi che speriamo di raggiungere nel corso dell’anno di servizio.
Come abbiamo iniziato.
Lo staff del museo ci ha subito illustrato le principali attività che dovremo svolgere.
Ci hanno esposto le iniziative, già programmate, per la stagione “L’Arte si fa sentire”, il calendario delle attività per le famiglie e le scuole e presentato, oltre al museo stesso, la mostra “150° del Canale Cavour. La grande impresa delle acque”, allestita in museo e visitabile fino al 13 novembre.
È stato interessante osservare come alcuni dei visitatori abbiano voluto condividere con noi i loro ricordi di parenti lontani nel tempo che hanno avuto legami con il Canale Cavour o, più in generale, col mondo agricolo delle risaie. Un’anziana signora, in particolare, ha raccolto l’invito ad entrare in contatto col museo, offrendosi di fornire materiale audiovisivo registrato dal padre in gioventù, testimonianza della vita di risaia e del lavoro delle mondine.
Il contatto con il pubblico.
L’incontro con il pubblico è stato immediato, subito istruttivo e fonte di riflessioni. Una visitatrice tedesca, uno dei primi giorni di servizio, ha posto una domanda particolare: ha chiesto, cioè, se Antonio Borgogna “rubò” gli affreschi oggi esposti in museo. La domanda ci è subito parsa fuori luogo, ma poi ci siamo accorte di quanto fosse, invece, particolare. L’accezione italiana della parola tutela, probabilmente, non è così direttamente comprensibile ad uno straniero, non così palese o scontata; era fondamentale chiarire.
Per raccontare quegli affreschi era indispensabile parlare di tutela. Il museo li ospita dal 1934, quando Vittorio Viale, allora direttore dei Musei Civici torinesi, chiamato a riallestire i due più ricchi musei vercellesi (Leone e Borgogna), fece trasferire la collezione di pittura dell’Istituto di Belle Arti, al Museo Borgogna. La collezione era costituita anche da affreschi staccati da numerose chiese della provincia e della città di Vercelli. Se l’Istituto non li avesse staccati e il Museo Borgogna non li avesse ospitati e valorizzati come oggi sono, verserebbero in condizioni disastrose dal punto di vista conservativo, o peggio, non esisterebbero più.
Il Museo Borgogna è, in questo senso, anche museo del territorio e una casa per tante opere abbandonate.
La voce della cultura è giunta fino a noi attraverso strumenti in passato innovativi e lungimiranti, ma la sfida ad alzare il volume con metodi nuovi è appena cominciata. Che l’avventura abbia inizio.
Anna De Bernardis e Valeria Gobbi