Soldi, soldi, soldi
Soldi, soldi, soldi è il titolo di una fortunata canzone degli anni ’60 di Betty Curtis ma anche il tema del nuovo appuntamento con #confrontinaspettati. Per questo mese il confronto è tra I love shopping New York di Sophie Kinsella e l’Avaro e la morte di Willem De Poorter.
I soldi non fanno la felicità, o forse sì?
Celebre è il detto “I soldi non fanno la felicità”, ma ne siamo proprio sicuri?
Certamente non è di questo parere la britannica Rebecca Bloomwood, protagonista del libro “I love shopping New York”. Il romanzo è il secondo capitolo di una fortunata serie creata dalla scrittrice inglese Sophie Kinsella.
Rebecca, per gli amici lettori Becky, è una vera e propria maniaca dello shopping. Non importa quanto alto sia il suo debito con la banca, se si fissa su qualcosa deve forzatamente acquistarlo. Se cercaste sul vocabolario un’immagine alla voce “Spendacciona” probabilmente trovereste una sua foto. Nel romanzo scelto per #confrontinaspettati Becky è costretta a trasferirsi a New York per seguire il fidanzato Luke Brandon, imprenditore di successo.
Nella Grande Mela la ragazza imparerà che grazie ai soldi si può comprare (quasi) tutto, ma si può anche perdere molto. La Kinsella è in grado di farci entrare nella psicologia di Rebecca, di odiarla per non essere in grado di frenare i suoi impulsi e al tempo stesso di compatirla per questa sua malattia.
I love shopping New York è un libro leggero, divertente e stimolante. Va molto oltre lo sperpero di soldi e all’attaccamento ai beni materiali. Ad esempio, Becky ci fornisce il suo modello ideale di museo: bello e piccolo, in modo che le persone non si sentano esauste nel momento in cui varcano la soglia. Un luogo in cui magari si possano anche acquistare i pezzi esposti.
Fa riflettere il fatto che oggi a pensarla come Rebecca ci siano migliaia di persone in carne ed ossa. Uomini e donne che spenderebbero soldi a palate per aggiudicarsi un capo alla moda ma non spenderebbero un euro per ammirare la (vera) bellezza conservata nei musei. Chissà cosa avrebbe detto Antonio Borgogna a Rebecca Bloomwood riguardo alla questione…
Giù le mani dai miei soldi, chiunque tu sia
Se Rebecca è in grado di sperperare le sue ricchezze in un batter d’occhio, al Borgogna c’è chi non vuole proprio liberarsene. Mi riferisco all’avaro del dipinto L’avaro e la morte attribuito a Willem De Poorter (Haarlem 1608 – Haarlem post 1648). La tavola fu acquistata, con attribuzione a Rembrandt, da Antonio Borgogna in occasione della vendita all’asta della collezione di Luigi Borg de Balzan nel 1894.
L’attribuzione al famoso pittore di Leida era supportata dalla presenza della sigla R sul dipinto, in basso a destra. La medesima sigla è stata considerata apocrifa e l’attribuzione dell’opera è passata sotto il nome di Willem De Poorter. Non stupisce la confusione attributiva che per molto tempo ha coinvolto il dipinto. Questo perché, ancora oggi, rimane molto avvalorata l’ipotesi di un alunnato del De Poorter presso Rembrandt. Inoltre, a complicare la lettura dell’opera, vi erano alcune pesanti ridipinture nella parte sinistra, eseguite in occasione di restauri. Tuttavia, lo schema compositivo e il tratto pittorico – disegnativo della tavola sono tipici del pittore di Haarlem.
La scena è immersa in uno sfondo scuro appena palpabile, l’ambientazione è quasi completamente spoglia. Fa eccezione la splendida natura morta, magistralmente dipinta, di vasellame e gioielli che risplende sulla destra. Gli oggetti sono posti su un tavolo ricoperto da una tovaglia che rappresenta uno degli elementi nodali del dipinto. Proprio alla tovaglia, infatti, si aggrappa con tutte le sue forze l’avaro. Il suo gesto è straziante e racchiude in sé la sintesi della vita dell’uomo dedicata a racimolare ricchezze. Alle sue spalle, inquietante e tenebrosa, lo sorprende la figura scheletrica della morte avvolta in un abito chiaro. Quest’ultima è pronta a portare l’avaro con sé, in un luogo dove soldi e altre ricchezze materiali sono inutili.
Non solo un semplice dipinto
L’opera di De Poorter conservata in museo è estremamente intrigante e ricca di spunti. Chi ne volesse una lettura differente sarà accontentato dal racconto “Quadro di famiglia” scritto da Edoardo Sarasso.
La storia fa parte di una raccolta, nata dal progetto (De)scrivere l’arte, di 10 racconti brevi creati da altrettanti scrittori. Il museo è stato immaginato dagli autori come luogo di stimoli e alcuni dipinti sono diventati protagonisti di storie affascinanti.
Vi ho incuriositi? Il libro che raggruppa queste narrazioni si intitola “Storie da museo” ed è edito da Effedì. Acquistarlo è semplice, potete trovarlo sia in libreria che in museo. Affrettatevi, l’arte vi aspetta!
Sara Agnelli